venerdì 5 agosto 2011

L'uomo nella natura dell'uomo.

 
Prima di studiare lo zen, i monti erano i monti e le acque erano le acque; quando cominciai a studiare lo zen, i monti non erano più i monti e le acque non erano più le acque. Dopo l’illuminazione, i monti sono tornati ad essere monti e le acque sono tornate ad essere acque.


La vita attuale degli uomini occidentali (ed occidentalizzati) è un paradosso nel paradosso, si è lentamente trasformata in una una serie di parti, distaccate , che comunicano tra di loro con specchi opachi rimandanti ad immagini poco nitide, invece che essere connesse in virtù di una solida percezione del tutto, come un insieme apparente di parti, suddivise per gradi d'importanza animica, piuttosto che per un'autentica separazione.
E questi filtri percettivi, hanno la loro più grande espressione nell'esplicazione emotiva che fuoriesce ogni qualvolta si crede di affrontare un'esperienza profonda in relazione al tutto che ci circonda, ma che profonda non è.
Come spesso scrivo, questo è frutto del tempo, del logorio instancabile dell'orologio con  lancette che si muovono come lame di una forbice :da una parte ci siamo noi, dall'altra tutto il resto.
 Molti saranno portati a fingere emotivamente(credendo che sia reale) una ricongiunzione con la parte che si è allontanata dalla nostra essenza, pochi si spingeranno a ritrovare duramente la forza per ricostituire, almeno in parte, quello che era in passato.

Quando parliamo della natura, del rapporto dell'uomo con quello che lui non ha creato, ma che intorno a lui da sempre e da prima di lui, esiste, nascono molti problemi, che, personalmente, credo di vedere bene, in quanto sperimentatore delle tre fasi emblematiche ben espresse dal sopracitato Koan zen.
Sono nato in mezzo alla campagna, tra campi, viti, animali, contadini che mi avevano quasi adottato(ed avevano sicuramente adottato la mia primigenia natura) con la notte buia senza luci dell'uomo, tra pipistrelli e lucciole, falene e  luna che scandiva i ritmi delle "veglie" estive.
E' ovvio che, avendo tutto questo dal principio, mi trovavo in una sorta di equilibrio perfetto, tra il mio crescere ed il mio percepire il mondo bucolico antico, prendendo tutto come normale, sentendolo come normale, dai piedi sull'uva a settembre, all'immancabile odore che, al contrario della rondine, faceva primavera, arrivando sino a vedere con serenità la contadina che "tirava il collo" a qualche gallina che scorrazzava libera nell'aia, sotto casa.
In realtà, le uniche ravvisaglie di "stupore" che mi sopravvenivano, legate al fatto di vivere in un mondo per molti "incredibile", provenivano dai miei genitori, entrambi nati  tra  mura di città e, manco a dirlo, dalla televisione, che, al momento di parlare di certi luoghi, simili a quelli in cui ero nato ed in cui vivevo, non mancava di lesinare colonne sonore a base di pastorali Beethoveniane e "stagioni" vivaldiane, con "suggestive" parole, come contorno, per quello che era semplicemente il mio ambiente, il mio parco giochi datomi da madre natura e non certo un pacchetto regalo confezionato da Quark, pacchetto che suggeriva un'idea che poco si sposava con l'apparente durezza del contadino che affrontava la propria vita esattamente come un albero affronta la tempesta.
Poi le due lancette dell'orologio a forbice, hanno iniziato ad allontanarsi pure per me ed è stato un allontamento anche fisico, tra me ed il mio grembo naturale, la mia città e la mia regione.
Quello che è successo, è stato un mutamento d'impostazione nei confronti di quello che, intrappolato nel ricordo, non era più il mio ambito vitale corrente, ma solo un idealizzato paradiso in cui tutto era perfetto e semplice: la vita naturale era perduta e viveva nella mia memoria.
Tutte le volte che avevo modo di "riprendere fiato", lo facevo tornando in quei luoghi, immerso in quel verde potente, privo della negativa carica di modernità, che mi opprimeva.
Ma, come avviene quando bisogna dare un nome ad un'epoca storica, dovevo arrivare alla fine di un periodo, per sapere come poterlo chiamare...e quel periodo è stato di separazione.
Non parlo dell'evidente separazione fisica, ma di quella essenziale che c'era tra me ed il modo di fondermi con quello che poi,  in realtà, mi aveva generato.
Fu proprio il Koan messo al principio della pagina, a farmi capire che ero passato da elemento della natura a spettatore meravigliato della natura ed è difficile ammetterlo, quando quello che vuoi negare sembra così "bello", ma ero diventato esattamente un ammiratore di uno degli specchi opachi di cui parlavo, le mie emozioni si erano sostituite alla mia percezione diretta di quello che mi aveva sempre circondato, trasformandomi in un ospite estasiato di un mondo, rispetto a questo, altro.
In seguito a questo e ad altre cose, iniziai a realizzare che tutto ciò era piuttosto diffuso, addirittura era un elemento che agiva anche all'interno della fisicità dell'uomo stesso, soprattutto quando si parla di meditazione o auto-percezione: l'uomo moderno affronta parti di sè, concentrandosi su di esse, esattamente con lo stesso stupore ed emozione con cui affronta parti (apparentemente) distaccate da sè e, l'elemento che crede la parte migliore di questo, addirittura  in certi casi, il risultato(colpa anche dello yoga americanizzato, a base di relax e posizioni inutili) di certe pratiche, corrisponde esattamente al limite che si ha nel relazionarsi "naturalmente" con il tutto.
Ricorda giustamente J. Evola che non è proiettando la propria anima su un qualcosa che si diventa parte di essa, ma è annullandola, che si può divenire quell'albero che vive, proiettandosi verso l'alto, senza nome, senza speranze e senza desideri.
Quando nella mia vita "i monti sono tornati monti e le acque sono tornate acque", ho ritrovato il bambino che viveva nella terra bruciata e che correva tra i gatti ed i conigli, azioni che compivo e basta, tra odori che sentivo e basta e quadri di cui ero un elemento decorativo, non il pittore e soggetto a tempo stesso, imponendo così, la mia razionalità, per quanto ritenuta "mistica", sulla realtà del mondo tutto.
L'uomo nella natura, rischia di diventare "l 'uomo nella natura dell'uomo", in quanto, quello che lo circonda diventa un'esaltazione di ciò che dentro di lui si trova,  non come essenza autentica, ma bensì come riflesso dell'esperienza di vita, creando una separazione incredibile ed un'inversione di polarità tra l'esistenza della nostra fisicità e quella dell' ambiente, in cui crediamo di "rinascere", ma in cui stiamo solo egoisticamente espandendo la nostra idea di "bello".
Guardare un tramonto e provare emozioni non è un crimine, sia ben chiaro, è normale ed è ancora più normale per chi non ha mai vissuto appieno e da subito la natura delle cose antiche, ma ritenere che questo abbia pretese spirituali ed implicazioni superiori al semplice "usare" quello che si ha davanti, come auto-gratificazione, è molto povero e farebbe ridere a crepapelle qualsiasi profondo conoscitore della scuola Zen.
Chi guarda un animale, proiettando su di esso sensazioni, emozioni, ricordi e paure, ama un'idea, non ama l'animale per quel che è che, per sua fortuna/sfortuna può solo vivere il presente, non dovendo lottare come noi con il peso della razionalità scaturità da memoria ed esperienza, chi guarda un animale come una bilancia tra noi e la natura, come essere che pone le sue radici nell'essenza delle cose(e non come un povero umano menomato, con tanto di abitudini, gusti e ricordi) ama sè stesso, la flora e la fauna, ama il mondo e sa cosa sia davvero l'istinto.
Chi, immergendosi nell'acqua, non si sente una scimmia fortunata, ma un collante tra mare e cielo, ama sè stesso e trova sè stesso.
Abbiamo intrapreso un viaggio, pesante e senza sosta, lontano da casa, non crediamo che sia così semplice voltarsi e vedere ancora il nostro punto partenza: nel deserto della percezione e dell'abbandono, creare un qualcosa che parta da noi, per darci la speranza, è il primo passo per avere delle sicurezze, ma il secondo passo è superare questa innaturale pulsione(che tanto naturale sembra), guardare la strada d'innanzi a noi ed essere noi, la via stessa, senza detriti emozionali che funzionino come effetto placebo, per le nostre anime.
Essere realmente sè stessi e non lasciare questo compito alle proprie emozioni, ci riconcilierà con quello che abbiamo perso.

Con un unico chicco d'orzo,la gemma germoglia e,
sebbene la sua funzione
sia la stessa del chicco
che l'ha originata,
se la terra e l'acqua non si uniranno,
il germoglio non diventerà mai orzo.
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La via non è difficile

se eviti di distinguere.

Non amare e non odiare
e sarai nella chiarezza.




Seng Ts'an



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