mercoledì 29 maggio 2013

In basso, verso le stelle

Cadere nell'abisso, avviene, non lo puoi evitare.


Nessuno può realmente evitare la gravità extra-terrestre che porta all'interno di sè in maniera terribilmente rumorosa e rapida, quella gravità ruvida a cui diamo il nome di dolore.
E poco importa la causa, quanto il come si decida di affrontare il proprio destino,quando esso decide di mostrarsi a noi come un tunnel discendente di fiamme oscure, di cui non si sa se è peggio il percorso o l'epilogo.
Capita a chiunque, gli diamo nomi diversi, lo sentiamo in modo diverso, ma fintanto che si ha l'energia intelligente che ci permette di non identificarci con esso, è possibile imparare ogni oltre immaginazione, da questo stato dell'essere terreno.
E allora mettersi di fronte alla zona in cui nel corpo si percepisce il fuoco ostile, diventa il primo passo: sentire nel ventre il parto della propria sofferenza e comprenderne il movimento, il suo propagarsi nel corpo e le sue pulsazioni, sono necessità per colui che sa di essere vivo, nonostante  un vago senso di morte lo voglia al suo fianco; è il cammino di chi sa di essere la propria luce, ma intorno a sè vede solo tenebra, eppure sa che se esiste e si distingue dalla tenebra, è proprio per quella luce che divide quello che è da ciò che vorrebbe essere e trasformare.
L'unico modo per provare la propria fede  in ciò che si sa di essere,al di là di ogni condizione generata da elementi che creano tempeste nella nostra anima, è divenire l'occhio del ciclone.
Il dolore, quando vuole essere noi, quando ci vuole strappare alla nostra luminosità, ci offre continuamente l'opportunità di chiederci "perchè?", senza darci mai tempo di trovare la risposta, proprio perchè non è in alcun "perchè" la domanda.
Il dolore crea un circuito di energia negativa, in cui la domanda si aggancia all'ipotesi e alla percezione distorta del tempo, in cui non riusciamo a trovare risposte che permettano di fronteggiare la violenza del sentire, che si genera in una componente astrale del nostro mondo interiore, una parte di noi che genera logica come scoria, non come soluzione, quando se ne perde il controllo.
Tutto pur di non fare la cosa più semplice, resa impossibile dall'elettricità del corpo, alleatosi con il pensiero superficiale: accettare.

Non puoi spegnere l'incendio soffiando, puoi spegnerlo divenendo pioggia.
Non puoi toccare una nuvola per capirla, la devi disegnare.


Accettare, è accettare che il dolore era in noi prima delle sue cause apparenti.
Le cause sono solo le maschere che lui aspettava per manifestare la sua esistenza.
E' un maestro severo, a cui non importa la comprensione della lezione, ma solo la vittoria: la tua o la sua.
Ma è pur sempre una parte di noi, che cresce fintanto che noi lo ignoriamo e lo giustifichiamo, non è un'ombra, ma all'ombra vive, non è mortale, ma alla morte vorrebbe farti pensare, non è un nemico, ma farti male è l'unico modo che ha perchè tu ti accorga di lui.

E cadi nell'abisso.


Niente è più tremendo del non poter comunicare quella desolazione, anche a chi ti conosce da sempre e a chi ti ama da sempre, è il vero fulcro della solitudine, il vero muro che si innalza poderoso davanti ai nostri occhi increduli, strabiliati dal fatto che tutto ciò viva in noi.
Eppure si può osservare e tu puoi ancora  respirare.
E quell'aria che entra in noi, fintanto che sappiamo di essere noi e non il veleno che ci scorre nelle cellule, inizia a renderci più attenti, più sensibili alla propria reale essenza, che per contrasto con il male, inizia a sorgere in mezzo alle macerie, come quel fiore magico da cui rinascerà la vita, un giorno dopo la fine di tutto.
Chi diventa il dolore, perde con sè stesso.
Chi crede di esser pazzo, nel sentire nel dolore qualcosa che lo rende vivo, probabilmente diventerà realmente pazzo o continuerà a cercare il dolore.
Ma chi non si arrende e con la calma del sole africano, inizia a girarsi intorno per cercare uno specchio dove riflettere la proprio luce e coloro che hanno l'ardire, come Ulisse, di voler sentire il canto delle le sirene senza finire tra le loro braccia, sono destinati al premio più grande: scoprire che il dolore non esiste.

E non c'è nessun altro modo di affrontarlo che farlo nella maniera più spregiudicata possibile, nell'unica maniera che lui, il dolore ancora mascherato, non vorrebbe mai, quella che solo i puri di cuore conoscono come unica magica azione, ovvero seguendo la via del sorriso.
Guardare la bestia inferocita inanzi a noi e comprendere infinitamente che essa sta ringhiando solo se fiuta la nostra paura, è un istantaneo risveglio dall'incubo delle nostre dannazioni.
Il mondo razionale ci avvolge con quel manto di seria maturità, tesa a farci inarcare nelle nostre convizioni, che fanno si che il problema del dolore divenga immediatamente accolto da ogni sfumatura di tristezza e malinconia possibile.
Benzina nel fuoco, sale nelle ferite.

Ed invece di ascoltare la lezione del maestro ed in suoi rimproveri, corriamo a casa a piangere, in un circolo vizioso e morboso, che fa si che il giorno dopo sappiamo già cosa sarà la nostra vita  prima di viverla, se di vivere si può parlare.



Il sorriso è il coraggio, il coraggio di non sentirsi in colpa nei confronti dell'unica cosa che pretende il nostro senso di colpa: il ricordo ancestrale di una schiavitù remota, che non deve e mai più dovrà influenzare il nostro spirito.
Il sorriso è il coraggio di comprendere che ci sono più persone vive grazie alla nostra felicità, che alla nostra falsamente umile e giustificata tristezza.
Il sorriso è il coraggio di essere la vita che profondandamente già si vive dentro di sè e che niente e nessuno ci può strappare, ma solo noi, con il nostro continuo ritardare.
Il sorriso non è una risata sprezzante, narcisista o menefreghista, il sorriso è l'unica cosa che ci distingue da qualsiasi altro essere conosciuto, animato ed inanimato nell'universo e che ci mette come ponte vivente tra il mondo minerale e l'ignoto infinito, che fa si che un volto trasmetta luce grazie ad un'emozione momentaneamente eterna, è un qualcosa che va rispettato, come un tempio fatto di acqua.

Il dolore esiste perchè noi impariamo a sorridere, senza dare cause alla serenità che lo genera, perchè nelle stesse cause si potrebbe annidare la tristezza.
Il dolore è il tempo che ti vuol dire che lui esiste solo per il tuo corpo, ma non per gli aspetti invisibili di te.
Il dolore nasce con te e diviene adulto con te, fino a che non sei maturo abbastanza per capirlo.
Ma non esiste, ci sei solo tu ed il contrasto tra quello che sai di non essere, mai sei stato e mai sarai...ovvero morto, perchè tu sei stato, sei e sarai sempre un bambino, che ha bisogno di crescere per capirne il valore e per mai più smettere di esserlo.


Libero.





.e alla fine mollai la presa; compresi che il dolore che provavo era quello della mia mano che stringeva la speranza e compresi che non c'era alcun dolore in sè.
E, lasciando la presa, iniziai a cadere in quel tunnel nero che avevo sempre temuto, ma non vi trovai nè freddo nè buio, ma solo la possibilità di creare suoni e luci; trovai la libertà che prima chiamavo paura.