domenica 12 gennaio 2014

Accettare: il dono della conoscenza di sè.

Nel vortice sconnesso della nostra esperienza umana, nel nostro viaggio necessario ed obbligatorio, ma pur sempre prezioso e foriero di meraviglie, amiamo la possibilità di guardare verso l'orizzonte, oltre i monti, continuando a farlo anche dopo aver superato quello che prima era un punto lontano che prima stavamo osservando, cercando di andare nuovamente oltre, mentre le nostre scarpe si consumano e i nostri muscoli si stancano.
E poco conta se questo "sguardo di fuga" lo trasformiamo in un'ipotesi, in una speranza esterna, in un "deus ex machina" che dovrebbe, non si sa come, agire prima o poi, su di noi e per noi, alterando e trasformando  possibilmente in meglio, quello che di questa vita proprio non funziona, poco conta perchè tutto ciò non è uno sguardo rivolto a quello che di noi  umilmente conosciamo, ma è solo quello che vorremmo, in relazione a ciò che crediamo di essere.
La verità non è mai quella che vorremmo, al momento in cui con la mente stiamo costruendo oltre il nostro mondo, senza far niente per far coincidere volontà con pensiero.
Ogni persona è realmente unica, ma ha incredibilmente la capacità di voler far combaciare le proprie sensazioni ed esperienze interiori, con quello che da qualche parte ha letto, con quello che si "sa", che si trova in ogni film, in ogni racconto di un amico,di  un genitore o di  un semplice conoscente, ed è da talmente tanto così, che non si sa nemmeno chi sia stato il primo a dare la reale descrizione dell'amore, ad esempio, se mai una se ne può avere, nei ricordi della nostra vita, perchè troppe informazioni hanno attaccato il nostro modello "puro" di partenza.
Levata l'esperienza infantile, in cui è tutto molto chiaro a livello intuitivo, ma non lo è a livello intellettivo, ci ritroviamo alla deriva nel mondo delle scatole, in cui pescare il nome del nostro sentimento e della nostra condizione intima, fino a che non si arriva a unire in un letale miscuglio il nostro agire con il nostro essere, sulla base di quello che si crede sia giusto, allontanando da noi tutto quello che non si sa descrivere emotivamente, solo perchè nessuno l'ha mai fatto prima, a meno che non sia stato un poeta o semplicemente un pazzo.
Ed ecco che lo sguardo si alza verso quell'orizzonte pieno d'aria e luci, un' oasi di illusione liberatoria creata dalla mente stessa, un'isola di pace che serve per sopravvivere, come uno svenimento voluto dal corpo, al momento in cui si provasse a strangolarsi con le proprie mani, perchè si eviti meccanicamente il suicido: il nostro organismo, con la nostra anima al timone, va in protezione, affinchè non si finisca annegati in quello che non è il nostro vero universo.
La verità non è nella parola verità, che già si pone davanti a noi come una specie di porta magica in cui, alla fine, non entreremo mai, in quanto porta di quell'orizzonte che ci sfugge all'infinito.
La verità è quel senso di inadeguatezza che non riusciamo a mettere a tacere, è solo quella...e più è grande questa inadeguatezza, più la nostra verità è lontana dalla vita che ogni giorno cavalchiamo, vestiti da fantocci.
Vestire subito questa inadeguatezza con parole mistiche, magiche ed esoteriche, è ancora continuare a vagabondare nel mondo del preconcetto, senza voler ancora penetrare nell'inadeguatezza per quella che è.
Cercare l'eternità in sè, senza aver accettato la propria umanità, si rivela un percorso sterile.
Dobbiamo accettare la nostra umanità, dobbiamo comprendere che se fossimo nati in una cultura diversa avremmo aspetti diversi di noi, ma sempre lo stesso senso di inadeguatezza, più o meno visibile, ma il modo di affrontarlo è solo uno: ascoltare senza giudicare.
Amare qualcuno, odiare qualcuno, irritarsi per un lavoro, intenersi per qualcosa, avere paura del buio, sentire sentimenti sconvolgenti di fronte alla musica: solo risposte che abbiamo in ogni istante della nostra vita, risposte per domande che non ci poniamo mai, perchè sempre meno funzionali al tipo di vita che siamo costretti a mantenere, per essere considerati civili.
Scoprire che il sentimento, talvolta, è la risposta in sè...si: è doloroso,  perchè credere che esso sia causato da qualcosa, che, in qualche modo dovrebbe appartenenerci mentre così non è, ci porta inevitabilmente a soffrire.
Quando vediamo che la causa e l'oggetto non coincidono , nella maggior parte dei casi, malediciamo il sentimento stesso, che resta dentro di noi con la potenza di un vulcano pronto ad esplodere, non capendo il reale messaggio che esso ci regala.
Ma la maturità, l'umanità e la volontà ti permettono di affrontare la sfida più grande che è proprio respirare quel sentimento, ringraziare chiunque o qualunque cosa sia riuscito ad innescarlo in te ed iniziare ad esplorare tramite esso, quella che è l'origine della sua/tua essenza, scoprire da dove arriva il vento che ti fa battere più forte il cuore, senza aver fatto nessuno sforzo fisico.
Ripeterselo ogni giorno che la verità non è la fantasia, a meno che la fantasia non sia quella che io possa usare per conoscermi in maniera creativa, essere veri è accettare quello che non torna e che per questo, non ci piace...non piace alla superficie di noi, quella sicura e costruita per relazionarsi con gli altri, ma non può non piacere al nostro sole interiore.
Usare l'energia che abbiamo per accettare il prima possibile il nostro vero volto, non per cambiarlo prima di conoscerlo.
Questo è amarsi, questo è conoscersi, questo è vivere per andare oltre quello che sappiamo.
Questa è l'unica verità che, senza essere divinità, c'è dato conoscere, ma è anche una verità che una divinità immortale, non potrebbe mai avere la fortuna di assaggiare.
Scintille di eterno, in un pugno di terra; solo così saremo noi quell'orizzonte che guarderà da lontano un uomo o una donna  - che sempre noi siamo- compiere un cammino degno di essere chiamato tale.





mercoledì 29 maggio 2013

In basso, verso le stelle

Cadere nell'abisso, avviene, non lo puoi evitare.


Nessuno può realmente evitare la gravità extra-terrestre che porta all'interno di sè in maniera terribilmente rumorosa e rapida, quella gravità ruvida a cui diamo il nome di dolore.
E poco importa la causa, quanto il come si decida di affrontare il proprio destino,quando esso decide di mostrarsi a noi come un tunnel discendente di fiamme oscure, di cui non si sa se è peggio il percorso o l'epilogo.
Capita a chiunque, gli diamo nomi diversi, lo sentiamo in modo diverso, ma fintanto che si ha l'energia intelligente che ci permette di non identificarci con esso, è possibile imparare ogni oltre immaginazione, da questo stato dell'essere terreno.
E allora mettersi di fronte alla zona in cui nel corpo si percepisce il fuoco ostile, diventa il primo passo: sentire nel ventre il parto della propria sofferenza e comprenderne il movimento, il suo propagarsi nel corpo e le sue pulsazioni, sono necessità per colui che sa di essere vivo, nonostante  un vago senso di morte lo voglia al suo fianco; è il cammino di chi sa di essere la propria luce, ma intorno a sè vede solo tenebra, eppure sa che se esiste e si distingue dalla tenebra, è proprio per quella luce che divide quello che è da ciò che vorrebbe essere e trasformare.
L'unico modo per provare la propria fede  in ciò che si sa di essere,al di là di ogni condizione generata da elementi che creano tempeste nella nostra anima, è divenire l'occhio del ciclone.
Il dolore, quando vuole essere noi, quando ci vuole strappare alla nostra luminosità, ci offre continuamente l'opportunità di chiederci "perchè?", senza darci mai tempo di trovare la risposta, proprio perchè non è in alcun "perchè" la domanda.
Il dolore crea un circuito di energia negativa, in cui la domanda si aggancia all'ipotesi e alla percezione distorta del tempo, in cui non riusciamo a trovare risposte che permettano di fronteggiare la violenza del sentire, che si genera in una componente astrale del nostro mondo interiore, una parte di noi che genera logica come scoria, non come soluzione, quando se ne perde il controllo.
Tutto pur di non fare la cosa più semplice, resa impossibile dall'elettricità del corpo, alleatosi con il pensiero superficiale: accettare.

Non puoi spegnere l'incendio soffiando, puoi spegnerlo divenendo pioggia.
Non puoi toccare una nuvola per capirla, la devi disegnare.


Accettare, è accettare che il dolore era in noi prima delle sue cause apparenti.
Le cause sono solo le maschere che lui aspettava per manifestare la sua esistenza.
E' un maestro severo, a cui non importa la comprensione della lezione, ma solo la vittoria: la tua o la sua.
Ma è pur sempre una parte di noi, che cresce fintanto che noi lo ignoriamo e lo giustifichiamo, non è un'ombra, ma all'ombra vive, non è mortale, ma alla morte vorrebbe farti pensare, non è un nemico, ma farti male è l'unico modo che ha perchè tu ti accorga di lui.

E cadi nell'abisso.


Niente è più tremendo del non poter comunicare quella desolazione, anche a chi ti conosce da sempre e a chi ti ama da sempre, è il vero fulcro della solitudine, il vero muro che si innalza poderoso davanti ai nostri occhi increduli, strabiliati dal fatto che tutto ciò viva in noi.
Eppure si può osservare e tu puoi ancora  respirare.
E quell'aria che entra in noi, fintanto che sappiamo di essere noi e non il veleno che ci scorre nelle cellule, inizia a renderci più attenti, più sensibili alla propria reale essenza, che per contrasto con il male, inizia a sorgere in mezzo alle macerie, come quel fiore magico da cui rinascerà la vita, un giorno dopo la fine di tutto.
Chi diventa il dolore, perde con sè stesso.
Chi crede di esser pazzo, nel sentire nel dolore qualcosa che lo rende vivo, probabilmente diventerà realmente pazzo o continuerà a cercare il dolore.
Ma chi non si arrende e con la calma del sole africano, inizia a girarsi intorno per cercare uno specchio dove riflettere la proprio luce e coloro che hanno l'ardire, come Ulisse, di voler sentire il canto delle le sirene senza finire tra le loro braccia, sono destinati al premio più grande: scoprire che il dolore non esiste.

E non c'è nessun altro modo di affrontarlo che farlo nella maniera più spregiudicata possibile, nell'unica maniera che lui, il dolore ancora mascherato, non vorrebbe mai, quella che solo i puri di cuore conoscono come unica magica azione, ovvero seguendo la via del sorriso.
Guardare la bestia inferocita inanzi a noi e comprendere infinitamente che essa sta ringhiando solo se fiuta la nostra paura, è un istantaneo risveglio dall'incubo delle nostre dannazioni.
Il mondo razionale ci avvolge con quel manto di seria maturità, tesa a farci inarcare nelle nostre convizioni, che fanno si che il problema del dolore divenga immediatamente accolto da ogni sfumatura di tristezza e malinconia possibile.
Benzina nel fuoco, sale nelle ferite.

Ed invece di ascoltare la lezione del maestro ed in suoi rimproveri, corriamo a casa a piangere, in un circolo vizioso e morboso, che fa si che il giorno dopo sappiamo già cosa sarà la nostra vita  prima di viverla, se di vivere si può parlare.



Il sorriso è il coraggio, il coraggio di non sentirsi in colpa nei confronti dell'unica cosa che pretende il nostro senso di colpa: il ricordo ancestrale di una schiavitù remota, che non deve e mai più dovrà influenzare il nostro spirito.
Il sorriso è il coraggio di comprendere che ci sono più persone vive grazie alla nostra felicità, che alla nostra falsamente umile e giustificata tristezza.
Il sorriso è il coraggio di essere la vita che profondandamente già si vive dentro di sè e che niente e nessuno ci può strappare, ma solo noi, con il nostro continuo ritardare.
Il sorriso non è una risata sprezzante, narcisista o menefreghista, il sorriso è l'unica cosa che ci distingue da qualsiasi altro essere conosciuto, animato ed inanimato nell'universo e che ci mette come ponte vivente tra il mondo minerale e l'ignoto infinito, che fa si che un volto trasmetta luce grazie ad un'emozione momentaneamente eterna, è un qualcosa che va rispettato, come un tempio fatto di acqua.

Il dolore esiste perchè noi impariamo a sorridere, senza dare cause alla serenità che lo genera, perchè nelle stesse cause si potrebbe annidare la tristezza.
Il dolore è il tempo che ti vuol dire che lui esiste solo per il tuo corpo, ma non per gli aspetti invisibili di te.
Il dolore nasce con te e diviene adulto con te, fino a che non sei maturo abbastanza per capirlo.
Ma non esiste, ci sei solo tu ed il contrasto tra quello che sai di non essere, mai sei stato e mai sarai...ovvero morto, perchè tu sei stato, sei e sarai sempre un bambino, che ha bisogno di crescere per capirne il valore e per mai più smettere di esserlo.


Libero.





.e alla fine mollai la presa; compresi che il dolore che provavo era quello della mia mano che stringeva la speranza e compresi che non c'era alcun dolore in sè.
E, lasciando la presa, iniziai a cadere in quel tunnel nero che avevo sempre temuto, ma non vi trovai nè freddo nè buio, ma solo la possibilità di creare suoni e luci; trovai la libertà che prima chiamavo paura. 

mercoledì 5 dicembre 2012

Il pazzo sulla collina





Uno dei tanti modi per non restare nelle chiacchiere e smettere di credere a chi ti parla di illusorietà del mondo materiale/grossolano è scoprire tutto ciò come autentico,grazie alle proprie forze,concentrate verso il pensiero e imparare a trasformare le illusioni apparenti che vivono nella nostra mente, in una solida entità reale, una scultura di energia immaginativa  di cui sentiamo ogni aspetto sensoriale, con la differenza che quell'immagine è creata da noi, dalla nostra volontà e quello che ci circonda è solo percepito da noi, esteriormente, a quel punto, anche l'esteriore apparirebbe a noi come una nostra estensione e ci vredremmo in parte creatori attuali di quello che in realtà non esiste.
E chi vivesse di solo di queste immagini interiori?
Magari conoscerebbe il mondo interiore, oltre lo spazio ed il tempo e non dovrebbe curarsi del guscio dell'universo.
Allora lo chiamerebbero pazzo, immobile e fermo, perchè è ovunque.
La storia è questa.






“Day after day alone on the hill
The man with the foolish grin is keeping perfectly still
But nobody wants to know him
They can see that he’s just a fool
And he never gives an answer
But the fool on the hill
Sees the sun going down
And the eyes in his head
See the world spinning round
Well on the way, head in a cloud
The man of a thousand voices is talking perfectly loud
But nobody ever hears him
Or the sound he appears to make
And he never seems to notice
But the fool on the hill
Sees the sun going down
And the eyes in his head
See the world spinning round
And nobody seems to like him
They can tell what he wants to do
And he never shows his feelings
But the fool on the hill
Sees the sun going down
And the eyes in his head
See the world spinning round
Oh, oh, oh
Round ‘n round ‘n round ‘n round ‘n round
And he never listen to them
He knows that they’re the fools
They don’t like him
The fool on the hill
Sees the sun going down
And the eyes in his head
See the world spinning round
Oh, round ‘n round ‘n round ‘n round ‘n round
Oh!”

Traduzione.
“Giorno dopo giorno, solo su una collina
l’uomo col ghigno da matto
se ne sta perfettamente immobile
ma nessuno lo vuole conoscere
vedono che è solo un matto
e lui non da mai una risposta
Ma il matto sulla collina
vede il sole tramontare
e con gli occhi della mente
vede il mondo girare
Strada facendo, la testa in una nuvola
l’uomo dalle mille voci parla assolutamente forte
ma nessuno lo sente mai
o sente il suono che sembra emettere
e lui sembra non accorgersene mai
Ma il matto sulla collina
vede il sole tramontare
e con gli occhi della mente
vede il mondo girare
E sembra che non piaccia a nessuno
possono dire cosa vuole fare
e lui non mostra mai i suoi sentimenti
Ma il matto sulla collina
vede il sole tramontare
e con gli occhi della mente
vede il mondo girare
Oh, oh, oh
girare e girare e girare e girare e girare
Lui non li ascolta mai
sa che sono loro i matti
a loro lui non piace
Il matto sulla collina
vede il sole tramontare
e con gli occhi della mente
vede il mondo girare
Oh, girare e girare e girare e girare e girare
Oh!”


Storia del ruscello e del letto.



"C'è un ruscello che scorre nel suo letto.
Al momento in cui esce, sgorgando, dalla sorgente, si scorda quasi del tutto di essere acqua che nasce come acqua ed inizia a scorrere.
Il suo letto è l' unica cosa che conosce e che sente: questo l
o guida, lo porta in alto ed in basso, lo fa girare, lo divide con le rocce, lo ricompatta con le profondità, lui sente questo; il letto è come sua madre e suo padre, anche se non risponde mai alle sue domande, domande su chi sia lui in realtà.
Il ruscello ama davvero il suo letto, non esisterebbe senza di lui e dal suo punto di vista, è quasi del tutto convinto che sia lui a farlo muovere, con il suo abbraccio sicuro; lo ama talmente tanto da temere la pioggia, perchè ha paura di straripare e finire chissà dove, lo ama talmente tanto da aver paura del sole troppo splendente, perchè teme di sfumare verso l'alto, verso il cielo, così simile a lui nel colore, ma così enorme ed immenso, rispetto a lui, da levare il respiro.
Ma un giorno, il corso dell'acqua e del letto, passa sul limitare del dorso di una montagna e, guardando verso il basso, appare il mare.
Il ruscello vede il mare: grande come il cielo, più forte delle pioggia ed il sole lo illumina completamente, senza asciugarlo, ma facendolo risplendere, duttile e liquido come lui era.
Poi subito via, la strada continua.
Ma il ruscello è cambiato in quell'attimo, sente che il letto è stretto, sente allora che ogni cosa è possibile perchè lui, che è acqua, lo rende possibile adattandosi e muovendosi e che anzi, il letto limita la sua natura, pur permettendogli di essere sempre in divenire, ma solo in una direzione e con lo stesso ritmo, al contrario di quella immensità di acqua che aveva visto: ferma ed in movimento, eppure ovunque in tutte le direzioni, senza tempo, perchè ha tutto il tempo possibile in ogni luogo possibile,con la luce del sole che diventa più potente grazie ad esso, con la pioggia che ne esalta le virtù, con un letto talmente enorme, da non esistere se non come riflesso del movimento dell'acqua.
Quindi il ruscello inizia a scoprirsi ed inizia a capire, a capire che lui, in realtà,  è questo e non è totalmente simile a quella montagna d'acqua infinita solo a causa del suo letto, perchè, per il resto, anche lui riflette il cielo ed il sole, dominando la terra con le carezze, anche lui, se avesse un letto più grande, si potrebbe espandere come e dove vorrebbe, essendo in più punti contemporaneamente, sente che gli manca una cosa, lo spazio, ma che quando lo ritroverà, saprà apprezzarlo, saprà farlo fruttare, saprà davvero essere grato e grato torna pure ad esserlo nei confronti del letto, perchè ha capito a cosa serve:a dargli la possibilità di superare la paura di essere separato, da ciò che ,anche lui, si porta dentro di sè, una cosa che puoi affrontare solo essendo separato e solo partendo dalla paura, conoscendola nel limite apparentemente reale e realmente apparente.
E con la terra sotto ed il cielo sopra, si avvia verso la fine del suo percorso, fondendosi con le lame di luce del sole nella vastità della grande acqua, scoprendo il sale dell'alchimia del mare, che unisce sole e acqua e lui non ha paura di finire, perchè già sapeva chi era e non avrebbe mai potuto saperlo nè come acqua di sorgente, nè come mare, ma solo nel percorso tra di essi.
E un pò di quel ruscello, ha reso più grande e luminoso il mare, anche se insieme, erano già l'acqua del mondo, senza separazione.

venerdì 30 novembre 2012

Qumran flute




La suggestione che mi sorge dentro, quando penso agli esseni, al loro lavoro, alla loro vita e alla preziosa maniera di ricomporre le tessere del mosaico metafisico.
Mistero e pathos, che si scioglie alla fine, anche se per poco, perchè dopo non si sa più cosa c'è.







Tutti i colori della concentrazione



Tra antichi insegnamenti, tecniche più o meno moderne e quant'altro, si hanno un mare di riferimenti, legati alla possibilità di meditazioni, contemplazioni e costruzioni mentali di simboli, perchè questo poi dia, a sua volta, qualcos'altro: anche fosse per imparare a regolare il giusto flusso di volontà verso una direzione verticale ascendente, sarebbe già davvero tanto.
Esporrò il mio punto di vista sulla concentrazione, il "focusing" , mettendo l'accento sui suoi aspetti caratteristici, al fine di ricompattarli in un'unica realtà e faccio questo perchè, spesso, mi rendo conto che nella nostra cultura si è ormai quasi del tutto persa la capacità di saper osservare elementi che fanno parte di noi, conoscendoli solo attraverso una sorta di pregiudizio o un clichè ed in questo giudizio solidamente giustificato, mi ha(anche) aiutato un percorso personale legato alla disciplina musicale, sia in veste di " perenne allievo", che in quella di insegnante.
Inanzi tutto la prima regola aurea, per quel che mi riguarda, è questa:
Concentrarsi non è sforzarsi
Potrebbe sembrare quasi banale  ricordare ciò ma, a proposito di cultura e più propriamente quella scolastica inferiore, c'è spesso una confusione o una non corretta suddivisione tra questi elementi
, senza che si arrivi, al solito a demonizzare una delle due cose, per enfatizzare l'altra, cedendo all'orgoglio del dualismo.
Si, perchè per me lo sforzo è utile e lo è per capire un grandioso elemento simbolico.

Quando noi ci sforziamo, cosa succede, in realtà? Perchè sentiamo uno scontro vivido e tangibile al nostro interno, come un dissidio che si genera e che ci impedisce una corretta concentrazione?
E' semplicemente tentare di superare un proprio limite, senza che si sia pronti per farlo. Allora io cerco di focalizzarmi su un qualcosa, un pensiero, un'azione, nell'osservare un oggetto o qualsiasi cosa, vado oltre, oltre la quantità di tempo/energia che il il rapporto tra la mia attenzione "reale" e il pensiero hanno e subentra, cosa?
                                              Il corpo


Siamo talmente poco abituati a gestire il pensiero in sè, che ci viene naturale attingere forza da uno dei due poli energetici/fisici presenti nella nostra struttura materiale, ovvero il sistema nervoso.(l'altro è chiaramente il sangue, che di solito si attiva "ingiustamente" per scatenare il rapporto nella forma pensiero idea-ricordo/emozione).
Mi ha sempre affascinato, come sa bene chi legge quello che scrivo e chi mi conosce, il pensiero Steineriano che vuole locata nel sistema nervoso la funzione materiale(o meglio, materialistica e la logica che ne deriva, di conseguenza) arimanica ed in quella cardio/vascolare la funzione mistica luciferica, perchè rappresenta in realtà una visione piuttosto verosimile di quello che, al di là del comune pensare, questi due "reticolati" fisici producono in relazione a noi.
Detto questo, il mio sistema nervoso inizia ad essere chiamato in causa - guardate bene che è una funzione che in realtà attiviamo noi inconsapevolmente - iniziando a produrre delle scariche elettriche vere e proprie, perchè sto cercando, in parole povere, di unire cielo e terra (corpo e anima, fisico e sopra-fisico) a discapito della mia essenza, scaricando energia in maniera violenta tra i due poli opposti, un fatto che percepirò come spossamento e irrigidimento di parti di me, talvolta insospettabili.(Suonando ed insegnando a suonare, non avete idea di quante volte, mi sono trovato di fronte gente con dolori al piede o al ginocchio, per poi scoprire che si era fatto un esercizio arrivando a "sforzarsi").

Quindi, imparare a discernere questi primi due elementi, concentrazione e sforzo,  è il primo vero passo da compiersi, onde evitare di creare quello che anche in natura esiste, ovvero una tempesta elettrica, in cui siamo noi stessi a pagarne le conseguenze, perchè noi tra cielo e terra, siamo esattamente come l'aria.

Proseguendo, è interessante prendere in esame gli elementi della concentrazione che servono a descrivere il movimento del pensiero.

Ad esempio, si potrebbe parlare di una tripartizione, fatta per praticità, in cui avremmo questo:


° Intensità di concentrazione


° Concentrazione nel tempo
  
° controllo dinamico della concentrazione

Con intensità di concentrazione, si può intendere la capacità di rendere vivida, al proprio interno, la cosa pensata.



La maggior parte di noi, non è in grado di visualizzare nella mente un oggetto di qualsiasi tipo, mantenendo chiara la sua forma, senza che appaia e scompaia in continuazione o che cambi forma, colore o punto di visuale, questo perchè non c'è nessuna disciplina" ufficiale" che ci abbia mai avvicinato a ciò, praticamente in nessun ambito(Famiglia, scuola, chiesa, lavoro), proprio perchè, dal punto di vista materiale, non si ritiene che ciò sia di minimo interesse:" non c'è un riscontro pratico in ciò, ma solo una perdita di tempo", salvo poi passare le ore a riempirci di immagini davanti a schermi di vario tipo, facendo in modo che il processo di cui sopra, sia esercitato comunque, ma in maniera passiva ed inconsapevole, trasformandoci tutti in pappagalli intellettuali, ovvero in creature che riescono a ripetersi immagini mentali, solo al momento in cui le vedono, senza che ci passi per la testa che dovrebbe esserci un processo totalmente opposto, rispetto a questo.

L'intensità si sviluppa ricavandosi uno spazio costante giornaliero in cui si immagina, si costruisce mentalmente, un unico elemento semplice, magari piccolo, come una moneta o un spillo e si cerca di rappresentarselo nella sua grandezza naturale, come se fosse davvero davanti a noi, cercando di averlo "davanti agli occhi" sempre nella stessa grandezza.

E' qui che dobbiamo tenere presente l'elemento "sforzo" ed usarlo per capire il nostro limite quotidiano: tanto più allontaniamo le "scariche elettriche" da noi, quindi tanto più agiamo nella consapevolezza di non produrre uno sforzo, tanto più riusciremo senza fatica a produrre immagini mentali nitide ed uguali a sè stesse, nei vari "frame" di pensiero che scorrono nella nostra essenza immaginativa. E qui, si parla di concentrazione nel tempo, intendendo il tutto sia come ovvia necessità di sviluppare una crescente concentrazione con una consapevole costanza quotidiana, facendo sì che nasca una vera e propria disciplina, utile per controllare i progressi, sia come capacità di controllare l'attenzione nella concentrazione.


Può sembrare banale, ciò che scriverò, ma è importantissimo ribadirlo: distrarsi da ciò che viene pensato, durante l'esercizio di immaginazione consapevole, è piuttosto naturale inizialmente.
Si inizia a produrre l'immagine e dopo un attimo potremmo pensare a mille implicazioni legate a quell'immagine, alle sensazioni di orgoglio che si avvertono nel fare quello che stiamo facendo, a ciò che abbiamo letto per arrivare a fare ciò, si può arrivare addirittura a pensare a tutt'altro, credendo di pensare all'oggetto che ci si era prefissi di visualizzare.
Quindi, quello che ci salva, è la domanda: per quanto tempo riesco a pensare ad un qualcosa, senza che io, tramite un "telefono senza fili" autogenerato, arrivi addirittura a scordarmene?

Si, perchè nella migliore delle ipotesi, riusciremo a riprendere il controllo, grazie alla volontà, dopo aver pensato di tutto nell'arco di pochi secondi, ma quello che avviene solitamente, soprattutto se non mi sono prefisso di vivere la visualizzazione in un "momento sacro", ma la sto facendo mentre faccio altro(guidare, camminare, sul posto di lavoro) è che mi scordi completamente di ciò che stavo facendo, senza fare caso a ciò  la volta successiva, rischiando di accumulare tonnellate di inutili tentativi, che si generano tutti uguali nel tempo, la vera dimostrazione del fatto che non sappiamo esercitare la volontà attraverso il pensiero, ovvero che non conosciamo l'autentica concentrazione.
Potrebbe, non tanto risolvere, quanto darci uno scossone, in questo senso, provare a contare fino a 10, mentre si pensa l'oggetto prefissato, per rendersi conto che anche con un auto-ammonimento, si hanno difficoltà notevoli(ad esempio potremmo pensare ai numeri in sè e partire nuovamente per la tangente)nel cercare di mantenere nel tempo l'energia del pensiero, per sostenere l'immagine; generalmente, ammettere senza troppi fronzoli la propria inettitudine, in questo ambito, aiuta a partire (o ripartire)con umiltà e a comprendere sempre tramite la costanza, nel momento in cui stiamo iniziando a praticare, che la volta precedente a quella in cui ci troviamo attualmente, ci siamo dissolti nel mare di flusso di pensiero automatico: sarebbe importante provare a ricordare qual'è stato il pensiero che c'ha portato fuori dalla strada maestra, per capire se abbiamo davvero coscienza di noi  in quel momento, dato che, solitamente, nemmeno quello arriviamo a ricordarci, mostrando un'altra enorme falla, nell'ambito di un'altra nostra grande alleata(di cui non parlerò qua, perchè non è propriamente in tema) che è la memoria, il nostro piede di porco apri porte a ritroso di associazioni di pensiero automatico.


Il terzo elemento, diciamo successivo, rispetto ai precedenti  che sono legati a loro, è appunto il controllo dinamico della concentrazione, ovvero iniziare a notare tutto quello sta intorno ad essa e dentro ad essa.


Una volta che, passatemi il termine, inizio a sentirmi piuttosto allenato, ovvero riesco a mantenere l'immagine dentro di me, in una forma vivida e in un lasso di tempo decoroso, ho l'energia necessaria per notare altri elementi e per tentare altro, con l'immagine stessa.
Parlando di dinamiche esterne, si può provare a sentire cosa si produce in noi a livello emozionale, cercando finalmente di comprendere come agisce un dato pensiero sul mio sentire, visto che il  pensiero è sotto il mio controllo,ma voglio essere sincero: chi riuscirà ad essere libero da qualsiasi emozione, soprattutto orgoglio o qualsiasi cosa che abbia a che vedere con quello che noi riteniamo in qualche modo "mistico", sarà già un bel pò più avanti, proprio perchè, se sto pensando ad un ogetto e come finalità ho solo quella, non si capisce perchè dovrei avere una qualsiasi emozione legata a ciò, se non per arrivare a considerarmi speciale, a causa di quello che sto sperimentando.
Nel caso in cui emozioni o sensazioni siano presenti, a vari livelli, ci si può banalmente chiedere:"perchè?" , se siamo onesti, scopriremo che non avremo ancora il totale controllo del pensiero, perchè vuol dire che una parte di esso è ancora proteso ad attivare le emozioni automatiche.

Un altra possibilità dinamica, è legata all'immagine stessa: iniziare a muoverla dentro di , con coerenza, senza che si deformi, cambi coloro o "inquadratura" e senza che si alteri, diminuendo o sbiadendo, al momento in cui si è attuato del movimento.
Potremmo anche iniziare ad aggiungere elementi sensoriali, oltre a quello della "vista": iniziare a sentire con il tatto, con il gusto, pensare al suono che fa quello oggetto se cade, se si muove, se si strofina, sempre senza perdere di vista l'intensità dell'immagine.

Nel fare tali cose, non bisogna mai e poi mai avere una vera finalità, non è come allenarsi per praticare uno sport e non è come studiare uno strumento per eseguire un brano, che già conosciamo, dobbiamo pensare che noi non sappiamo niente di quello che accadrà, solo verificare che, facendo ciò, arrivi a svilupparsi dentro di noi una facoltà latente che è come una nuova vista, non certo solo facendo questo, ma i primordi della "chiaroveggenza", cioè dell'autentica visione del vero, sono proprio qua, potenziando aspetti della nostra umanità, senza perdere di vista la nostra individualità e senza farsi fregare dalla fantasia, che è divenuta, per i più, l'ora d'aria libera del pensiero, in questo mondo(a meno che non sia davvero sviluppata come si deve).

Fare questo e farlo con costanza, in ogni caso, permette di far crescere a dismisura la propria attenzione ed è la vera auto-osservazione, che anche se non porta al di là di quello che pensiamo(forse perchè già ci siamo, dove non pensiamo, deve cambiare, appunto, solo il modo di "vedere"), aiuta ad essere più vividi  anche in "questa realtà" ed i benefici, saranno molti dato che tanta superficialità scomparirà come neve al sole e che, davvero al di là di tutto, si amplificherà la bellezza di ciò che vediamo comunque con i nostri sensi, fornendoci i mezzi per vedere colori illuminati, là dove prima vedevamo solo forme sbiadite.