venerdì 13 maggio 2011

La meditazione "rosacruciana " secondo R. Steiner

Secondo molti, nel regalare al mondo i segreti dell'iniziazione(soprattutto, mostrando il tutto come necessariamente connesso alla ricerca del puro pensiero), almeno quelli che si potevano dire, o meglio, quelli che si potevano comunicare, Rudolf Steiner è andato incontro alla fine della propria vita prima del necessario e, leggendo gli ultimi paragrafi della sua auto-biografia, la sua sobria auto-narrazione, direi che, a causa del pessimismo che pervade le sue parole, è un'impressione che è lecito avere, considerati i problemi che aveva sia con le religioni istituzionali, sia con l'allora nascente nazionalismo nord-europeo, del primo dopo guerra.

Questo è un brano tratto da una delle sue opere principali, per quello che mi riguarda la più spregiudicata e coraggiosa: "la scienza occulta nelle sue linee generali" in cui, oltre a parlare delle narrazioni akashike, concernenti la connessione uomo/terra, nelle ere precedenti alla nostra e la descrizione, nei limiti del lecito, del mondo spirituale, si affronta il metodo per una sorta di auto-iniziazione(da completarsi, appunto, nella sua opera :"L'iniziazione").
Nelle sue parole si ritrova la sapienza egiziana, la saggezza orientale ma ri-calibrata nel pensiero greco/romano/europeo, la conoscenza del Graal, la necessaria affermazione della centralità del "mistero del golgota" e l'assenza totale di misticismo morale, che rende quasi impossibile pensare che ciò viene proferito, sia frutto di fantasia o altro, complice la forma di scrittura più decisamente tipica del filosofo, che dell'esoterista "ermeticamente" inteso.
Il simbolismo della rosa è reso al meglio e la funzione delle sette rose, su una croce, rappresenta, la chiave d'accesso per lo sviluppo di "organi sovrasensibili", necessari per scorgere il mondo spirituale, che da giordano Bruno a Goethe, è sempre stato inteso tra le righe.




"L’ascesa verso lo stato di coscienza soprasensibile può avere, come punto di partenza, soltanto la coscienza normale di veglia; l’anima vive appunto in questa coscienza prima della sua ascesa.
Dalla disciplina le vengono forniti i mezzi per trascendere questa coscienza.

La disciplina di cui ora tratteremo consiglia anzitutto dei mezzi tratti dalla coscienza normale diurna; i più efficaci sono appunto quelli che consistono in pratiche serene e silenziose dell’anima.
Importa che l’anima si dedichi a delle rappresentazioni ben determinate, le quali per loro natura devono essere capaci di esercitare una forza che risvegli determinate facoltà nascoste dell’interiorità umana.

Esse si differenziano dalle rappresentazioni della vita di veglia, le quali hanno il còmpito di rispecchiare una cosa esteriore, e tanto più sono vere quanto più fedelmente la rispecchiano; e difatti in conformità della loro, natura devono appunto essere vere in quel senso; ma le rappresentazioni alle quali l’anima deve dedicarsi a scopo di disciplina spirituale non hanno tale missione; esse sono tali, che non riproducono una cosa esteriore, ma hanno in loro stesse la forza di esercitare un’azione di risveglio sull’anima.
Le migliori rappresentazioni a tale scopo sono allegoriche o simboliche; ci si può però
servire anche di altre rappresentazioni.
Perché no n importa il loro contenuto, ma unicamente che l’anima applichi tutte le sue forze
per non ammettere altro nella coscienza che la suddetta rappresent azione.

Mentre le forze dell’anima, nella sua vita abituale, sono distribuite su vasto campo, e le rappresentazioni si susseguono rapidamente, la disciplina occulta è diretta a concentrare l’intiera vita dell’anima sopra una sola rappresentazione, la quale deve venire posta dalla volontà al centro della coscienza.

Perciò le rappresentazioni allegoriche sono migliori di quelle che ritraggono oggetti o processi esteriori, perché queste ultime hanno un punto d’appoggio nel mondo esteriore, e per tal fatto l’anima non è costretta con quelle a basarsi soltanto su sé stessa come con le allegoriche, che vengono create dalla propria energia animica.
L’attenzione principale va posta sull’intensità della forza che l’anima deve impiegare.
L’essenziale non è già quello che viene rappresentato, bensì il fatto che, per effetto del modo
della rappresentazione, l’oggetto di essa sciolga l’anima da qua lsiasi riferimento al mondo fisico.
Si arriva a comprendere tale concentrazione in una rappresentazione se si evoca per un
momento il concetto di ciò che è un ricordo.

Se, per esempio, si volge l’occhio verso un albero e poi si voltano a quello le spalle, di guisa da non poterlo più vedere, si sarà nondimeno capaci di conservare la rappresentazione dell’albero nell’anima nostra.
Questa rappresentazione dell’albero che si conserva quando questo non ci sta più dinanzi
agli occhi, è un ricordo dell’albero.

Ora immaginiamoci di conservare questo ricordo nell’anima, di lasciare che l’anima, in certo qual modo, si adagi su quel ricordo, sforzandoci di escludere da essa qualsiasi altra rappresentazione.
Allora l’anima è concentrala nella rappresentazione-ricordo dell’albero.
Si tratta allora della concentrazione dell’anima in una rappresentazione; però questa
rappresentazione è la riproduzione di cose percepite dal sensi.
Ma, se ci si accinge a questo esercizio con una rappresentazione imposta volontariamente
alla coscienza, si potrà conseguire poco a poco l’effetto desiderato.
Citerò ora un solo esempio della concentrazione interiore in una rappresentazione simbolica.
Anzitutto occorre che tale rappresentazione venga costruita nell’anima, e ciò può farsi nel
seguente modo.
Rappresentiamoci una pianta radicata nel suolo, che caccia fuori una foglia dopo l’altra e si
sviluppa finalmente nel fiore.

Immaginiamoci ora un uomo accanto a quella pianta, e suscitiamo nell’anima nostra il pensiero, che l’uomo ha capacità e facoltà più perfette di quelle della pianta; occorre riflettere come egli possa recarsi qua o là a seconda dei suoi sentimenti e della sua volontà, mentre la pianta è vincolata al suolo.

Ma ci si dica ora anche questo: «Sì, certamente, l’uomo è più perfetto della pianta; ma scopro in lui delle qualità che mancano, nella pianta, e per tale ragione essa mi appare, sotto un determinato punto di vista, più perfetta dell’uomo. L’uomo è pieno di desideri e di passioni alle quali uniforma la sua condotta. Posso affermare veramente, che i suoi desideri e le sue passioni lo trascinano a molte aberrazioni. La pianta invece segue le pure leggi della crescita di foglia in foglia, essa schiude senza passione i suoi fiori ai raggi puri del sole».

Posso dire a me stesso: l’uomo gode di una certa perfezione rispetto alla pianta, ma per acquistarsi questa perfezione ha dovuto permettere che oltre alle forze pure che vedo nella pianta, gli istinti, i desideri e le passioni penetrassero nel suo essere.

Io mi rappresento ora che il verde succo scorre attraverso la pianta ed è l’espressione delle leggi pure e prive di passione della crescita; mi rappresento poi, come il sangue rosso scorra attraverso le arterie dell’uomo, e in esso vedo l’espressione degl’istinti, dei desideri e delle passioni.
Queste idee devono divenir viventi nella mia anima.
Mi rappresento, inoltre, come l’uomo sia capace di evoluzione; come egli possa purificare i
suoi istinti e le sue passioni per mezzo delle facoltà superiori della sua anima.
Penso come in tal modo gli elementi inferiori di questi istinti e di queste passioni rimangano
annientati e quelle qualità purificate rinascano sopra un gradino superiore.
Il sangue potrà quindi rappresentare l’espressione degli istinti e delle passioni purificate.

Allora con lo sguardo spirituale considero la rosa e dico a me stesso: «Nel succo rosso della rosa vedo il colore del verde succo della pianta trasformato in rosso; e la rosa rossa segue, come la foglia verde, le leggi pure, scevre di passioni, della crescita. Il rosso della rosa può ormai diventare per me il simbolo di un sangue, in cui si esprimono gli istinti e le passioni purificate, che hanno eliminato i loro elementi inferiori, e nella loro purezza uguagliano ormai le forze che sono attive nella rosa rossa».
Devo ora elaborare tali pensieri, non soltanto nella mia mente, ma farli vivere nel miei
sentimenti.

Può invadermi un sentimento di beatitudine, quando mi rappresento la purezza e la mancanza di passione della pianta crescente; posso creare in me il sentimento che determinate perfezioni superiori debbano essere acquistate al prezzo di brame e passioni.

Questa idea può trasformare la beatitudine che prima sentiva in un sentimento più serio, mentre può destarsi allora in me un senso di felicità liberatrice, se mi abbandono all’idea del sangue rosso che, come il succo rosso della rosa, può diventare il veicolo delle pure esperienze interiori.
È importante di non restare impassibili di fronte ai pensieri, che servono alla costruzione di
una rappresentazione simbolica.
Dopo essersi dati a questi pensieri e sentimenti, occorre trasformarli nella seguente
rappresentazione simbolica.
Ci si rappresenta una croce nera.

Questa deve essere il simbolo degli elementi distrutti, inferiori, degl’istinti e delle passioni, e là dove le braccia della croce s’incrociano, bisogna raffigurarsi sette rose raggianti, ordinate a forma di circolo.
Queste rose saranno il simbolo del sangue che esprime le passioni e gl’istinti purificati.
Ora, è una rappresentazione simbolica di questo genere che deve essere evocata nell’anima,
nel modo già descritto per la rappresentazione di un ricordo.
Tali rappresentazioni hanno forza risvegliatrice, se interiormente ci si immerge in esse.
Mentre ci si concentra, bisogna cercare di escludere ogni altra rappresentazione.
Soltanto il simbolo appunto caratterizzato deve dimorare spiritualmente ne ll’anima, con la
maggiore vivacità possibile.

Non è senza importanza il fatto, che questo simbolo non è citato qui semplicemente come una rappresentazione risvegliatrice, ma che esso è stato prima costruito per mezzo di determinate considerazioni sulla pianta e sull’uomo.
Perché l’influenza di un tale simbolo dipende dal fatto di essere stato costruito nel modo
descritto, prima di servire alla concentrazione interiore.

Se si evoca quel simbolo nella nostra anima, senza aver eseguito tale, lavoro di costruzione, esso rimarrà freddo e molto meno efficace, come se gli mancasse la forza vivificatrice animica che gli proviene dalla preparazione.
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1 Poco importa che questi pensieri trovino o meno la loro giustificazione nella scienza
naturale, perché si tratta dello sviluppo di pensieri sulla pianta e l’uomo, i quali, indipendentemente da qua lsiasi teoria, possono essere acquistati per mezzo della semplice contemplazione diretta. Tali pensieri hanno anche la loro importanza, come, sotto un altro rapporto, sono importanti pure le rappresentazioni teoretiche sulle cose del mondo esteriore. E i pensieri in questo caso non servono a esporre scientificame nte uno stato di fatto, bensì per costruire un simbolo, che si dimostri efficace, malgrado tutte le obiezioni che potranno presentarsi a questa o ad altra persona durante la costruzione del simbolo stesso.

Durante la concentrazione, però, non bisogna richiamare nell’anima i pensieri che hanno servito a preparare il simbolo, deve aleggiare spiritualmente nell’anima unicamente l’immagine vivente del simbolo, e all’unisono con essa deve vibrare nell’anima il sentimento, che è risultato dai pensieri preparatori.
Così il simbolo diventa un segno accompagnato da una esperienza del sentimento; l’effetto
viene appunto esercitato dal soffermarsi dell’anima in questa esperienza.
Quanto più a lungo vi si può trattenere senza essere disturbata da altre rappresentazioni, e
tanto più risulterà efficace l’intiero processo.

Nondimeno è bene, perché il sentimento non si affievolisca, che, oltre al tempo effettivamente dedicato alla concentrazione, vengano spesso rievocati i pensieri e i sentimenti che hanno servito nel modo appunto descritto a costruire tale immagine.

E quanto più pazienza si applica in tale ricapitolazione, tanto più l’immagine risulta efficace per l’anima. (Nelle considerazioni del mio libro: «L’Iniziazione» sono stati citati altri mezzi per la concentrazione interiore. Sono particolarmente efficaci le meditazioni indicate in quell’opera, sul divenire e sull’appassire delle piante, sulle forze del divenire latenti nel seme della pianta, sulle forme dei cristalli, ecc.; qui, invece, è stato scelto un solo esempio per esporre la natura della medit azione).

Un simbolo come quello descritto non rappresenta nessuna cosa o essere esteriore, nessun prodotto della natura; per questa ragione appunto esso possiede la forza di destare determinate facoltà int eriori.

Indubbiamente si potrebbe sollevare la seguente obiezione: «Certo questo «simbolo», nel suo assieme, non esiste nella natura; ma nondimeno tutti i singoli particolari di esso sono tratti dalla natura: il colore nero, le rose, ecc., tutte ciò viene percepito dai sensi».

Chi si preoccupasse di tale obiezione dovrebbe riflettere che non sono le riproduzioni delle percezioni dei sensi che cond ucono al risveglio delle facoltà sup eriori dell’anima, ma che questo effetto viene prodotto unicamente dal modo, come queste partic olarità sono state connesse.
E questa connessione non riproduce qualcosa che esiste nel mondo sensibile.
Questo simbolo è stato citato come esempio per dimostrare il processo di una
concentrazione efficace per l’anima.
Nella disciplina spirituale vengono indicate innumerevoli immagini di questo genere,
costruite nei modi più diversi.

Possono venir date anche determinate frasi, formule, singole parole, su cui lo scolaro deve concentrarsi; però tutti questi mezzi per la concentrazione interiore tenderanno sempre alla mèta di staccare l’anima dalla percezione dei sensi e di stimolarla a una attività, in cui l’impressione sui sensi fisici non abbia importanza, e lo sviluppo delle facoltà animiche interiori latenti diventi l’essenziale.
Vi possono essere anche concentrazioni sopra dei semplici sent imenti, ecc.; queste sono di
particolare efficacia.
Si può prendere, per esempio, il sentimento della gioia.
Nel corso normale della vita l’anima può sperimentare della gioia per effetto di uno stimolo
esteriore.

Quando un’anima dotata di sentimenti sani si accorge, che un uomo compie un’azione per bontà di cuore, essa potrà prova rne soddisfazione e gioia; ma può inoltre riflettere sopra un’azione di quel genere, e dirsi: «Chi compie un’azione per bontà di cuore non persegue il proprio interesse, ma l’interesse del suo simile. E una tale azione può essere detta moralmente buona».

Orbene, l’anima che la contempla può mettere da parte completamente la rappresentazione di quel singolo caso esteriore che le ha procurato gioia o soddisfazione, e può formarsi un’idea generale della bontà di cuore.
Riflettendo su questa, può pensare che la bontà di cuore deriva dal fatto, che un’anima
assimila, per così dire, l’interesse dell’altra, e ne fa il proprio.
L’anima può ora, per questa idea morale della bontà di cuore provare della gioia, che non è
connessa a nessun processo dei mondo sensibile, ma all’idea come tale.
Se si cerca di far vivere questa gioia per lungo tempo nell’anima, si ottiene la
concentrazione sopra un sentimento.

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