domenica 28 ottobre 2012

La chimera delle non-idee






Ho parlato tante volte del pensiero puro,
della possibilità di tornare a bere alla fonte della mente interiore, prima che, quello che una volta era soltanto il nostro memo/calendario interiore, prenda il sopravvento trascinandoci nel caos di vita che abbiamo(chiaro riflesso della nostra interiorità confusa, molto "veloce & furiosa").
Ovviamente con "quello" intendo quell'insieme di idee/immagini/parole/suoni che è comunque inteso come pensare, ma che come ben ormai sapete non è "pensiero".
Nessuno può spiegare come fare per arrivare a mettere da parte il pensiero dialettico(inutile ribadire che pensare di non pensare, è l'ennesimo pensiero che tiene sotto scacco tutti gli altri...tanto vale pensare alla prossima vacanza che si farà o all'appuntamento che dobbiamo avere: in maniera un pò meno astratta, avremo comunque il medesimo fallimentare effetto finale), tanto più che le "spiegazioni" sono necessariamente logica che è un prodotto razionale, disposto su un percorso lineare-orizzontale e noi dobbiamo puntare a quello prepotentemente "verticale", si possono indicare dei percorsi, però.
In realtà ogni Koan zen, molta letteratura "sufi" e potentissime frasi prese dalla sapienza classica hanno, su di noi, proprio l'effetto tale da far crashare il sistema raziocinante, se assunte al proprio interno con la giusta gradazione di buona volontà, ma spesso, il problema fondamentale è un altro: l'associazione di pensiero automatica.

La mente superficiale ha un ottimo salva-vita, che entra in funzione ad ogni minimo cortocircuito, eliminando il problema alla fonte e non lo fa sottraendo il pensiero in toto, ma associando in mondo quasi brutale un contro-pensiero alla nuova sensazione che inizia ad affiorare dentro di noi, al momento in cui siamo vicini ad  abbandonare il brusio mentale.

Da una parte è una funzione utile: bisogna pensare che non tutti sono pronti o vanno alla ricerca di ciò di cui stiamo parlando(spesso nemmeno chi pensa di esserlo, pronto) e quindi, eventi della vita che potrebbero scardinare le porte della percezione, in maniera istantanea sono "tappati" da un'immagine, una frase, una visione che serve ad evitare e un momento mistico quasi devastante per chi non è in grado di sopportare quello che va oltre il fisico(un sorta di guardiano della soglia istantaneo) e questo, per quel che mi riguarda, potrebbe spiegare molto, parlando di visioni di qualsiasi cosa, messaggi ricevuti ed idee brillanti, arrivate in momenti traumatici della propria vita, sicuramente elementi molto preziosi e potenti, ma comunque esistenti in quanto riflesso di un qualcosa di ancora più potente: fossero presi come simboli e non come "messaggi" o ancor peggio "segni", sarebbero appunto veritieri al massimo, fermarsi dinanzi alla loro apparizione in quanto tale, può risultare sterile e venire erroneamente riportato all'interno di un chiaro campo semantico spirituale/religioso/filosofico , solitamente ciò è nel  caso in cui il grado di elevazione interiore di chi ha vissuto ciò è piuttosto immaturo, diciamo che abbiamo trasformato un fatto naturalmente positivo in qualcos'altro di potenzialmente negativo(ma non è detto, appunto, dipende tanto dal "chi").
Dall'altra, queste protezioni, sono un bel problema per l'uomo moderno che vuole superare le barriere del proprio elemento mentale lineare, perchè una parte di lui le vorrà comunque provare, le sentirà come necessarie e quasi inevitabili, constringendosi in un'attesa di queste, piuttosto che in un superamento di tutta la questione, anche se non sembrerà così, anche se lo si negherà.
Il mio consiglio è di iniziare ad accettare questo limite: sapere che aspettiamo un segno materiale nella ricerca dell'immateriale, ammetterlo, stanare questa necessità figlia di generazioni e generazioni di umanità terragnola.
Prima ci auto-denunciamo e prima capiamo che tra le polverose frasi argentee di Lao-Tzu e noi, sono passate troppe ore di televisione e vita colorata: ciò ha sicuramente rappresentato un problema per tutta l'umanità conosciuta, ma noi dobbiamo svuotare molto di più il "Tao" perchè sia davvero pieno.
Superata questa fase  di accettazione( che dovrebbe essere  quanto meno autentica: in un certo qual modo non la si supera mai, ma la si ammette di continuo, come continuo è l'infinito che si vuole "annusare"), è importante rendersi conto di quanti "nemici" il nostro cervello nasconde dentro di sè, oltre al meccanismo di salvaguardia.
Faccio sempre l'esempio di un numero e dico:"10"
Ora, è possibile pensare al numero senza il numero?
Rispondere a questa domanda, può sembrare una contraddizione, ma non siamo qua per la filosofia, ma per una solida verità, che si può manifestare quantomeno eliminando dal cammino ciò che sicuramente può ostacolarci.
La domanda, è chiaramente mal posta, la vera domanda è:" cosa pensi, quando pensi al numero 10?"
E qua si aprono una marea di possibilità, vediamone alcune: la cifra scritta in arabo, la cifra scritta nella lingua parlata, una serie di elementi familiari o meno, che nel loro insieme formino dieci unità, un logo, la parola "IO", la metà di 20, il doppio di cinque, una voce che dice :"dieci", i dieci comandamenti, noi a dieci anni, dieci anni di matrimonio, io dieci anni fa, dieci giorni allo stipendo, dieci cose che amo, dieci del mattino, dieci di sera, ottobre e molto altro ancora.
Arrivato a questo punto, dobbiamo chiederci quanto abbiamo davvero la conoscenza intrinseca di questo numero e se è pensando alla sua quantità, piuttosto che alla sua qualità, che riusciremo ad andare dove non c'è dato sapere, in partenza.
Quindi, prima di proseguire, è bene usare la propria concentrazione  "antroposoficamente" nel provare ad allineare quanti più concetti possibili del nostro numero "10" in una sola idea seminale, sovrapporre immagini, suoni e archetipi in un'unica struttura, creata da noi: se non riesco a sintetizzare la forma, con la mia volontà, non potrò scoprirne la sostanza, perchè è nell'esercizio di volontà che avrò il primo risultato.
Inizialmente scoprirò quanto attaccamento emozionale ho nei confronti di certe rappresentazioni  rispetto ad altre, di quanto poco me stesso ho in questo spostamento, che porta a formare un'immagine inizialmente grottesca, ma in seguito" definitiva",  la mia idea del numero, l'unica che dovrebbe interessarmi e rappresentarmi.

La mente autentica ha bisogno dell'energia della volontà per aprirsi e non è il numero 10 o un'altra qualsiasi cosa che ci serve, quanto il cammino fatto per concentrarsi verso un elemento costruito al mio interno, unico e virtuale, ma in ogni caso vero, che mi aiuti a capire che al momento in cui sto creando, con quello che prima potevo solo osservare, io sono già dall'altra parte della barricata: l'immagine si dissolve e resta l'energia che ho usato per crearla, quello è già il puro pensiero che agiva in me, come agisce da sempre, mascherato da EGO, necessariamente mascherato perchè non arrivassimo a bruciarci nella non-identità dell'assoluto, prima di essere noi stessi.

La volontà scoperta nel gestire autenticamente ogni singolo pensiero, è l'anticamera del propria scoperta come essere creante, la forza(non lo sforzo) che io uso per gestire quello che mi appartiene di diritto(le immagini, i concetti) è il pensiero stesso che si svela, al momento in cui l'identificazione è possibile e non più incomprensibile o traumatica.




Vorrei proseguire, potrei proseguire, ma questo è quello che posso dire chiaramente...dopo tutto diviene più opaco e difficile da comunicare, ma fin qua, un percorso è stato possibile raccontarlo.
Sicuramente tanti sanno di cosa parlo.




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